Il partigiano Ario, 96 anni, racconta

E’ stata certo di più di una conversazione tra nonno e nipote, l’intervista di Mattia Boselli al nonno Ario. E’ stato un passaggio di memoria. Di memoria collettiva sulla lotta partigiana, alla base dell’identità della nostra Italia Repubblicana, costituzionale e antifascista.

L’intervista è stata trasmessa durante l’ultima Assemblea di Istituto organizzata in diretta sui canali Youtube dai rappresentanti degli studenti dell’IISS Berenini con i colleghi del liceo Ulivi di Parma. Un incontro denso di testimonianze, organizzato a tre giorni dalla festa di Liberazione del 25 aprile.

Ario Boselli ha compiuto da poco 96 anni: nato il 4 aprile del 1925, la sua classe di appartenenza fu una delle ultime ad essere chiamata alla leva militare obbligatoria. Chi come Ario viveva nella parte settentrionale dell’Italia, veniva chiamato alle armi dalla fascista RSI Repubblica Sociale Italiana. Ma lui si rifiutò, anche se rischiava la fucilazione, perché – racconta lui stesso – “il non presentarsi alla chiamata veniva ritenuto un atto di insubordinazione gravissimo”. Lo catturarono e venne condotto innanzi al Tribunale militare di guerra. Il plotone di esecuzione era già pronto per fucilarlo, ma poi "un altro occasionale renitente alla leva, venne scelto al posto mio", dice con il nodo in gola Ario, che prosegue: "Dopo una rocambolesca fuga dalla semiprigionia delle forze fascio – tedesche ho raggiunto i partigiani e collaborato con l’impegno di vettovagliamento. Ero nella 31° Brigata Partigiana Garibaldi “Copelli” nella zona sopra Fornovo Taro".

Il ventenne Ario riuscì a tornare a casa solo il 1° maggio, dopo la battaglia di Fornovo. E tornò a casa a piedi, per una trentina di chilometri, entusiasta di tornare nella sua Bianconese, frazione di Fontevivo.
"Vidi una donnetta in fondo allo stradello che veniva verso di me. Era mia madre. Ci siamo abbracciati. "Sono tornato, mamma, sono vivo", le dissi. 
"E’ stato un momento emotivo", dice Ario, mentre anche noi che ascoltiamo la sua testimonianza, ci commuoviamo.

Arriva però anche un monito da Ario: "che si conservi il significato morale e storico della Resistenza e della lotta di Liberazione.  La lotta partigiana - avverte - fu un movimento di reazione e di autodifesa del popolo italiano contro la guerra criminale aggressione delle forze tedesco – fasciste, rivolta contro la Nazione Italia. Non una guerra civile interna tra due fazioni egualmente legittimate". Poi cita Giacomo Matteotti: “Il fascismo non è un’idea, ma un crimine”. E che questa mostruosità non torni! - ammonisce - Perché purtroppo vedo segnali negativi: la tentazione dell’uomo solo al comando, la retorica nazionalista, lo Stato forte, l’invenzione del nemico e la contrapposizione".